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Trento, 20 aprile 2013
Tra storia e cronaca, tra identitÀ plurale e autonomia:
trentini, italiani, europei

Prefazione di Marco Boato a “Schegge di autonomia” di Vincenzo Calì  (TEMI, Trento, 2013)
(vedi nota lato pagina)

Gli articoli pubblicati da Vincenzo Calì sul “Trentino” e ora raccolti in questo volume, “Schegge di autonomia”, consegnano al lettore attento una straordinaria occasione di ripercorrere quasi un decennio di storia (dal 2004 ad oggi) in modo al tempo stesso appassionato e rigoroso, critico e coinvolgente. In queste pagine emerge la sua complessa personalità accademica e professionale, ma anche culturale e politica: sia lo storico dell’età contemporanea (disciplina che ha insegnato per molti anni all’Università di Trento); sia l’allora direttore del Museo storico in Trento; sia il curatore scrupoloso dell’”Archivio Battisti”, frutto di una antica amicizia e fedele collaborazione con Livia Battisti, indimenticata e indimenticabile figlia di Cesare; sia il cittadino preoccupato delle sorti della sua comunità, in un’epoca storica di crisi della propria identità plurale e delle proprie istituzioni.

Di origine milanese, arrivato a Trento negli “anni caldi” di Sociologia (dal ’68 in poi, al tempo di Francesco Alberoni e della singolare esperienza dell’”Università critica”), è difficile oggi trovare una personalità, come la sua, che abbia saputo così intimamente calarsi dentro la storia e la cultura di questa provincia e di questa regione, studiandone le vicende secolari, appassionandosi alla ricerca sulle sue figure più significative, riscoprendo nel passato le radici delle problematiche istituzionali più recenti, ma affrontando anche i temi di più stretta attualità, in campo sociale, urbanistico, politico e ideologico (e proprio alla politica è dedicata l’intera prima parte del volume).

Vincenzo Calì lascia trasparire nelle sue riflessioni una grande sintonia con la cultura laica e socialista – di una socialismo liberale e riformista -, ma aperta alla “contaminazione” con la storia del popolarismo cattolico, dell’ambientalismo responsabile, dei movimenti collettivi, studenteschi e operai, senza mai cadere nell’estremismo ideologico e in pregiudizi unilaterali. Profondamente radicatosi nella storia e nella cultura di Trento e del Trentino, attento conoscitore di tutte le complesse problematiche dell’Alto Adige/Südtirol, capace di osservare con sguardo critico le vicende italiane e quelle europee, Calì non cade mai nel provincialismo, ma semmai riesce sempre ad inserire le questioni trentine, e anche quelle sudtirolesi, nello scenario più ampio del sistema politico italiano e della crisi europea. E nel fare questo, si ispira ad un federalismo democratico, che trova le sue radici nella lezione di Altiero Spinelli, ma anche nell’800 di Antonio Gazzoletti e nella personalità di Cesare Battisti, visto in tutta la complessità della sua figura, e non soltanto alla luce dell’estremo sacrificio.

Bastino in proposito due citazioni testuali: “In tempi di centralismo ritornante, la battaglia per l’autonomia, in un’ottica di federalismo europeo, deve riprendere vigore”. E ancora, questa volta sotto il profilo storico, con una riflessione coraggiosa e forse impopolare: “Certo che se nel 1861 la storia avesse preso la piega auspicata dal patriota trentino Antonio Gazzoletti, quella del giusto confine fra Austria e Italia alla stretta di Salorno, molti lutti si sarebbero evitati; ma, come osservava Walter Benjamin, l’angelo della storia, nel suo procedere, dissemina lungo il suo percorso non poche rovine”.

Nelle pagine di Vincenzo Calì, il lettore riuscirà a dialogare ripetutamente con la personalità di Alcide Degasperi (del Degasperi “austriaco” e del Degasperi statista italiano) e con quella di Bruno Kessler, con le testimonianze resistenziali di Mario Pasi e Giannantonio Manci, ma anche di Andrea Mascagni, e poi con le figure di Walter Micheli e Renato Ballardini, inoltre con ripetuti richiami – al di là dei confini provinciali e regionali – alle testimonianze storiche di Carlo e Nello Rosselli, di Gaetano Salvemini e di Ernesta Bittanti. Ma potrà anche riscoprire i protagonismi di un grande sindacalista cattolico come Giuseppe Mattei e, al tempo stesso, di un leader della contestazione studentesca come Mauro Rostagno, a cui non a caso lo stesso Calì ha dedicato l’istituzione dell’omonimo “Centro di documentazione”, a lui intestato nell’ambito del Museo storico. E, rivolto alla città di Trento e alla sua Università, egli stigmatizza con convinzione l’incapacità di trovare una occasione adeguata di riconoscimento pubblico di queste due figure, che hanno lasciato il segno nella storia di Trento, concludendo poi Rostagno la sua vita straordinaria sotto i colpi della lupara mafiosa in terra siciliana.

C’è un altro protagonista che ricorre ripetutamente negli articoli di Vincenzo Calì: è il sudtirolese Alexander Langer, profeta della convivenza interetnica in una regione, prima, e in una Europa, poi, martoriate per tanti anni dai conflitti etnico-nazionalisti. E Langer non riguarda solo la sua terra d’origine, perché ha esteso la sua attività instancabile di ecologista e di “costruttore di ponti” anche nel Trentino, oltre che in Europa e nel mondo, attraversando ogni confine: “senza confini-ohne Grenzen”, come amava ripetere in un’epoca in cui i confini erano ancora solidi e spesso impenetrabili, non solo quelli geografici e statuali, ma anche e soprattutto quelli mentali.

In pagine molto significative, Calì supera a sua volta i confini del Trentino, parlando della figura di Aldo Moro, dialogando con Romano Prodi e anche con Paolo Prodi (che del resto fu il primo rettore dell’Università di Trento), e inoltre con Adriano Ossicini in relazione alla storia della “sinistra cristiana”, e ricostruendo altresì le vicende drammatiche, e spesso tragiche, degli “anni di piombo” italiani, dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (inizio della strategia della tensione) alle terribili vicende del terrorismo politico.

Con la stessa intensità con cui riflette soprattutto sulle figure del passato, che hanno reso grande questa piccola terra di confine, Calì discute e interpella gli interlocutori del presente: da Lorenzo Dellai ad Alberto Pacher (riguardo ai problemi della Provincia autonoma), da Alessandro Andreatta (per il Comune di Trento) a Giorgio Tonini (per le questioni riguardanti il PD), da Giorgio Grigolli (per la storia complessa del Trentino) fino a Giovanni Pascuzzi (per la questione universitaria). E quest’ultimo diventa, anno dopo anno, il suo punto di riferimento più significativo rispetto ai problemi giuridici e istituzionali dell’Università di Trento, dall’Accordo di Milano alla nuova Norma di attuazione, fino al travagliato e criticato parto del nuovo Statuto dell’Università.

A questi temi Calì ha dedicato l’intera seconda parte di questo volume, che non a caso si intitola “Schegge di autonomia”. L’autonomia universitaria e l’autonomia territoriale vengono messe criticamente a confronto, con un dialogo serrato e continuo, con una passione che attraversa tutti gli ultimi anni di dibattiti, confronti, dispute accademiche e non solo, perché delle sorti dell’Università di Trento viene investita non soltanto la comunità accademica, ma l’intera comunità provinciale. Appunto, in una interlocuzione continua tra le due autonomie, chiamate a collaborare, ma anche a rispettarsi nei reciproci fondamenti costituzionali.

La sua dimensione universitaria di storico dell’età contemporanea emerge con forza anche nelle pagine in cui ricostruisce, attraverso il lavoro di Sara Lorenzini, le drammatiche vicende del Trattato di pace del 1947 e poi, attraverso gli studi di Marina Cattaruzza, i rapporti tra l’Italia e il confine orientale. Ma la sua sensibilità di storico appare con ancor maggiore evidenza quando polemizza con “l’uso politico della storia”, soprattutto in relazione alla mitizzazione acritica (più in Trentino che in Sudtirolo, dove la contestualizzazione critica è assai più consapevole, almeno nel mondo degli storici) della figura di Andreas Hofer.

È molto significativa, a questo riguardo, la lunga e bella citazione del sudtirolese Claus Gatterer, in riferimento anche a Cesare Battisti, di cui è stato studioso attento in un contesto culturale certamente non facile per lui: «Compresi che Battisti da parte italiana, era stato vittima degli stessi equivoci nei quali sono incorsi tanti esaltatori tedeschi di Andreas Hofer. Ma fintanto che i maestri, qui come altrove, assolveranno alla loro missione con ottusità, come ciechi guardiani della loro nazione, come marescialli animati da formalistico amor patrio, gli uni con la penna dell’alpino sul cappello, gli altri con la penna arricciata del gallo cedrone, e tutti e due con la confusione nella testa, finché tutto ciò non cambierà, non ci sarà pericolo che i giovani, sollevando lo sguardo interrogativo dalle immagini dei due eroi tirolesi, quello tedesco e quello italiano, si incontreranno per guardare insieme verso quell’armonia per la quale ambedue gli eroi si sono sacrificati. Una vita sacrificata in nome di un nobile fine non è forse un sacrificio offerto a tutta l’umanità?».

Nella terza e ultima parte di queste “Schegge di autonomia”, Vincenzo Calì riflette soprattutto su Trento (e il Trentino) “tra storia e memoria”. Si tratta di analisi, discussioni, proposte a tutto campo, su argomenti anche molto diversi tra di loro: bisogna sempre ricordarsi che si tratta di editoriali giornalistici, legati anche alla stretta attualità (e questa caratteristica può comportare anche qualche oscillazione di giudizio, qualche previsione inesatta, qualche valutazione poi smentita dai fatti: in televisione si direbbe che “è il bello della diretta”, in  questo caso una “diretta” giornalistica, legata alla quotidianità). Ma anche in questa terza parte riemerge sempre la sua dimensione di storico, che ragiona sul presente con una forte consapevolezza dell’eredità storica e culturale (“il presente come storia”, avrebbe detto l’economista americano Paul Sweezy).

Basti, per far capire il suo approccio, questa lunga citazione, in cui riecheggiano in sintesi molti altri temi affrontati lungo tutto l’arco del volume: “Fare di Trento un luogo di riflessione comune, partendo dal dato dell’autonomia, che ha saputo superare la lacerazione dei confini, rientrerebbe fra le vocazioni di questa ‘terra di mezzo’ che dai tempi del clesiano Concilio fino all’ispirazione europeista di Degasperi, passando attraverso l’intuizione quarantottesca di Antonio Gazzoletti e dell’abate Giovanni a Prato non ha mai mancato gli appuntamenti con la grande storia”. E ancora, in esplicita polemica con certe elucubrazioni “padane”, rilanciando invece gli autentici ideali federalisti di Altiero Spinelli: “Lo sguardo deve rivolgersi al futuro e non attardarsi sulle antiche mappe dell’Italia augustea, come vorrebbero Zaia e Formigoni, che ricostruendo la X e XI Regio vorrebbero fare del Trentino un solo boccone. Più che ad una improbabile Italia regionale, il Trentino deve guardare ad un’Europa federata, pensare a partiti di dimensione europea, con un forte radicamento territoriale, riprendendo quella che fu la parola d’ordine degli uomini migliori della Resistenza al nazifascismo, lanciata con il manifesto di Ventotene settant’anni or sono”. E Calì conclude con un riferimento critico a Dellai, quand’era ovviamente ancora in carica come presidente della Provincia autonoma di Trento: “Attendiamo che il governatore Dellai batta un colpo deciso in questa direzione, senza attardarsi in nostalgiche rivisitazioni di una altrettanto improbabile regione storica del Tirolo”.

Questo tema della dimensione europea ricorre continuamente nelle pagine di Vincenzo Calì e ne costituisce il più alto fondamento politico e culturale, tanto più in una fase storica in cui, da una parte, sono sempre più ricorrenti i tentativi neo-centralisti di minare alle radici la speciale autonomia del Trentino (e del Sudtirolo, accomunati da un unico Statuto e dall’Accordo internazionale Degasperi-Gruber) e, dall’altra parte, vengono rilanciati i tentativi di coinvolgere lo stesso Trentino nella patetica e astorica riproposizione del mito hoferiano. Basti anche qui una citazione pienamente riassuntiva di questa problematica e di questa impostazione al tempo stesso storica e attuale: “La nuova cittadinanza europea, a cui tutti siamo chiamati, esige un di più di attenzione alla ricostruzione rigorosa delle vicende storiche nazionali e regionali, uscendo dalle disinvolte approssimazioni e dalle letture eccessivamente piegate all’interesse contingente, che sia quello di togliere risorse ad un Trentino ben amministrato o di approfittare di quelle risorse stesse per costruire nuovi miti”.

Ovviamente in questa prefazione non ho potuto segnalare in modo esaustivo tutta la grande ricchezza dei riferimenti storici, politici e culturali contenuti in queste “Schegge di autonomia”, ma soltanto fare qualche accenno agli aspetti più rilevanti e qualche citazione esemplificativa. Del resto, si rischierebbe altrimenti di togliere al lettore interessato (e mi auguro ce ne possano essere davvero molti) il gusto della scoperta, e anche della “riscoperta”, di temi magari già conosciuti in passato, ma poi “bruciati” dall’incombere dell’attualità quotidiana, che rischia di cancellarne la memoria. Anche da parte mia, che pur sono amico e lettore attento “da sempre” di Vincenzo Calì, cui sono legato da una più che quarantennale amicizia, questo gusto della “riscoperta” c’è stato, nel ripercorrere una dopo l’altra queste pagine, prima di accingermi a scrivere questa prefazione.

E mi piace concludere queste mie “istruzioni per l’uso” con un’ultima citazione testuale, questa volta assai breve, la quale mi sembra racchiudere bene l’ispirazione più profonda dell’approccio politico e culturale di Calì, che non è mai venuta meno anche nel variare dei giudizi contingenti: “Trentini, italiani ed europei, questo è il segno distintivo che la storia
consegna oggi a noi, cittadini chiamati a disegnare il futuro della comunità autonoma del Trentino”.

C’è da augurarsi davvero che questo monito conclusivo aiuti il lettore a superare ogni provincialismo, pur nell’orgoglio delle proprie radici territoriali, a rinnegare ogni nazionalismo, pur nella consapevolezza della propria identità nazionale (una identità del resto plurale e storicamente “contaminata” da molte culture) e a respingere ogni forma di anti-europeismo, anche in una fase di crisi delle istituzioni europee, ricordando che il sogno dell’Europa democratica e federale fu concepito quando ancora c’era la seconda guerra mondiale e, chi lo faceva, stava rinchiuso nel confino fascista di Ventotene. Non vorremmo che oggi, travolti da opposti populismi demagogici, avessimo minore lungimiranza, e anche minore capacità di speranza, di chi ha prefigurato l’Europa federale mentre l’Europa reale era in preda alla barbarie.

Marco Boato

 

  Marco Boato

MARCO BOATO

BIOGRAFIA


  

Giovedì
23 maggio 2013
TRENTO, sala Aurora
a Palazzo Trentini
in Via Manci

(Consiglio Provinciale), alle ore 17.30
presentazione
del libro
"Schegge di Autonomia"

di Vincenzo Calì,
con la prefazione
(qui pubblicata)
di Marco Boato.

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